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lunedì 31 ottobre 2011

Ecco il decreto "salva manganello", sui reati della polizia decide il procuratore capo.


Il governo prepara una corsia preferenziale per gli operatori di polizia accusati di reati commessi durante la gestione dell’ordine pubblico. Ad annunciarlo è stato il ministro degli Interni Roberto Maroni riferendo alla Camera sugli scontri del 15 ottobre.Nel caso di reati, ha spiegato Maroni, le indagini non saranno più di competenza del pubblico ministero di turno, ma dovrà esserci “un intervento diretto del procuratore capo, cui spetterà procedere sottraendo la competenza al primo sostituto procuratore”.Il titolare del Viminale non ha specificato se l’intervento sarà limitato a un “visto” per le indagini oppure se sarà lui a dover condurre l’inchiesta. Di certo il provvedimento presenta non pochi punti oscuri, come spiega Donatella Ferranti, capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera.“Sembra quasi un atto di sfiducia nei confronti dei sostituti procuratori, e non si capisce a cosa sia dovuto. D’altra parte - prosegue la parlamentare - Maroni sembra essere convinto chissà perché di poter in qualche modo condizionare i procuratori capo”. La nuova norma, che Maroni ha spiegato essere ancora in via di “approfondimento”, dovrebbe essere inserita in un disegno di legge da presentare in uno dei prossimi consigli dei ministri.“È una norma richiesta dai poliziotti e dai carabinieri - ha spiegato Maroni - che dagli incidenti di Genova in poi hanno manifestato una sorte di timore psicologico a intervenire”. Prevista per i manifestanti anche l’estensione, come giù avviene per le manifestazioni sportive, dell’aggravante delle lesioni gravi e gravissime a pubblico ufficiale, con pene comprese rispettivamente da 4 a 10 anni e da 8 a 16 anni, e “un rafforzamento delle tutele patrimoniali” in caso di risarcimento.

          Fonte: articolo tratto da "IL MANIFESTO" 

Emmanuel Bonsu: vigili imputati ma ancora sul libro paga del comune.

Emmanuel Bonsu
Il 29 settembre del 2008 hanno pestato, aggredito e umiliato un ragazzo di colore scambiato per il palo di un pusher. E a due anni dal giorno della vergogna, otto dei dieci agenti della polizia municipale coinvolti nel pestaggio di Emmanuel Bonsu stanno ancora lavorando per il Comune di Parma, in attesa del verdetto del processo che vede lo stesso Comune sia come parte civile lesa dal comportamento tenuto dagli 10 vigili imputati (due già condannati con rito abbreviato), sia come responsabile civile e quindi chiamato a risarcire il giovane ghanese.
Una situazione quasi paradossale quella che si è venuta a verificare e che è ancora tutta da chiarire, visto che il processo è ancora in corso e sono ancora da ascoltare vari testimoni oculari di quel pestaggio avvenuto al parco Falcone e Borsellino di Parma: il Comune che fa causa a se stesso e a suoi dipendenti, che a loro volta fanno causa al Comune, come nel caso dell’ex comandante dei vigili urbani, Emma Monguidi, che ha chiesto un risarcimento di un milione di euro per essere stata declassata.Ma andiamo con ordine. Il 29 settembre di due anni fa, alle 18, Emmanuel Bonsu, 22enne ganese, è stato fermato al parco Falcone e Borsellino di Parma da alcuni vigili urbani, in borghese, durante un servizio antispaccio. Il giovane, infatti, è stato scambiato per il palo di un pusher. Un racconto preciso dei fatti lo fornisce lo stesso Bonsu, durante l’udienza in tribunale del primo di marzo.
“Intorno a me c’era del movimento – racconta, accompagnato in aula dai genitori – due donne alle spalle, due uomini mi passeggiavano di fronte. Sulle prime non trovavo nulla di strano. Queste stesse persone, qualche secondo dopo, mi hanno afferrato per le mani gridandomi di star fermo. Ero molto spaventato, non capivo che cosa stesse succedendo e ho tirato via le braccia e ho cercato di scappare. Sono stato atterrato e mi sono trovato un piede sulla faccia e una pistola puntata al volto. Un’altra persona si era gettata sulle mie gambe. Nessuno ha detto che si trattava di una operazione di polizia”.
Il racconto prosegue con il viaggio in auto, verso il comando dei vigili: “Dopo avermi trascinato in auto uno di quelli che mi avevano sbattuto a terra e ammanettato nel parco mi ha insultato: “Negro di m…., ti spaccherei la faccia”. Era furioso perché si era rotto il braccialetto che gli aveva regalato la sua fidanzata. Prima di allontanarsi mi ha dato un calcio”. L’occhio sinistro presentava un’ecchimosi e una delle mani sanguinava.“Non mi hanno medicato - ha continuato - una di quelle persone ha detto che andava a cercare dei cerotti ma poi non li ha portati. Mi è stato dato dell’alcol, dicendomi: “Bevi che dopo stai meglio”. Poi mi hanno fatto spogliare e, tutto nudo, mi hanno detto di fare dei piegamenti due o tre volte. Prima di uscire dalla cella mi hanno detto: Rivestiti”.

domenica 30 ottobre 2011

...il caso UVA 2....

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Giuseppe Uva
Varese news: Poliziotti e carabinieri denunciano la sorella di Giuseppe Uva. Citato anche il giornalista de "Le Iene". L'accusa è diffamazione per aver affermato che il fratello era stato violentato in caserma. Ma ci sono anche nuove accuse dalla parte civile, ai P.M. che seguono il caso.




Ebbene si, è tutto vero! Ridicolo, ma vero!!! Infatti, nei giorni scorsi, l'avvocato Luca Marsico ha depositato una denuncia querela contro Lucia Uva e il giornalista del programma televisivo "Le Iene", che una settimana fa, mandò in onda un servizio sulla vicenda.
Il fatto che viene criticato, è l'aver ipotizzato che Giuseppe, la notte in cui fu fermato, venne anche violentato. Ipotesi, che si era fatta strada poiché dalla perizia eseguita dagli esperti incaricati, venne riscontrato che sui jeans di Uva furono trovate, oltre a tracce ematiche, tracce di sperma, urina e feci.
L' avvocato Marsico rappresenta 2 carabinieri e 6 poliziotti, che all' unanimità hanno deciso di costituirsi contro la sorella di Giuseppe, perché si sono sentiti diffamati, "non è accetabile che si vada oltre le accuse- spiega Marsico, i miei clienti hanno deciso d'intervenire perché le accuse che sono state rivolte durante quella trasmissione TV sono gravissime, ipotizzare una violenza sessuale di gruppo è infamante, gli agenti ed i carabinieri coinvolti hanno deciso di reagire per evitare che si vada avanti a gettare fango su di loro". 
INTANTO PERO', 3 OPERANTI QUELLA NOTTE  SONO GIA' STATI TRASFERITI.
Ma la domanda che viene da farsi è:

sabato 29 ottobre 2011

Suicidio? Livorno, si uccide a poche ore dalla libertà.

"E' ancora poco chiara la dinamica del suicidio di Agatino Filia, 56 anni, che avrebbe terminato la sua pena proprio oggi. Lo hanno trovato per le scale del carcere con un lenzuolo vicino e dei lividi attorno al collo. Nell'istituto Le Sughere si sono avute 17 morti in 8 anni e 9 suicidi, un numero eccezionale per un carcere di medie dimensioni".

 





...sarebbe il 54° suicidio (ancora da verificare) e il 155° decesso, nelle carceri italiane.Ancora da verificare? Proprio così, perché questo episodio ci appare veramente anomalo.Agatino Filia, infatti, viene ritrovato morto (sdraiato), su di una rampa di scale, luogo di per sé "insolito" perché non molto isolato,  nel carcere "le Sughere" di Livorno, con lividi sul collo, e parte di un lenzuolo accanto, unica "prova" del suo presunto suicidio. Dico "insolito", perché in genere i detenuti non sono liberi di girovagare per il carcere da soli, all'infuori della loro sezione d'appartenenza, e quindi, a parer mio, quando Agostino si trovava sulle scale ci sarebbe dovuta essere, se non lì accanto, almeno nelle ristrette vicinanze, una guardia carceraria; e in secondo luogo, perché la dinamica è veramente poco chiara.
A proposito del carcere, anzi scusate "istituto Le Sughere", volevo darvi un paio di numeri: dall' anno 2003 ad oggi, in questo istituto sono morti 17 detenuti, 3 solo nel 2011, e diversi di questi morti, si sono verificati in circostanze alquanto misteriose. A testimonianza di questo, Mario, 43 anni, durante un programma radiofonico "Radiocarcere" su radioradicale.it a cura di RICCARDO ARENA, racconta - "nel carcere di Livorno, ne succedono di tutti i colori, ma nessuno ne parla. Nelle celle, continua Mario- viviamo come animali, ammassati uno sull' altro in 6 o 7 per 22 ore al giorno, ma guai a lamentarci, guai a chiedere una semplice medicina. Alle guardie, non si può chiedere nulla, questa è la regola per sopravvivere in carcere, altrimenti si rischia la CELLA LISCIA, la cella d'isolamento". 
E Mario nella "cella liscia" c'è stato... "era inverno, ma mi lasciarono lì in mutande. Dormivo su un materasso buttato lì a terra, NUDO, senza neanche una coperta. Rannicchiato su quel materasso non sapevo più dov'ero, e cosa ero.Una notte siccome urlavo dalla disperazione,  entrarono e mi picchiarono, in 6 o 7 guardie, coi guanti e con gli scarponi che in cima hanno il ferro. E quelli fanno male. Mi hanno spaccato la faccia". Ovviamente, il suo non è stato l'unico caso, racconta Mario che nel carcere questa è la NORMALITA'.
Da un' indagine eseguita da Ristretti Orizzonti, blog di cultura e informazione dalla Casa di Reclusione di Padova e dall' Istituto di Pena Femminile della Giudecca, realizzato da, detenute/i e operatori volontari, si scopre che: A "Le Sughere" i detenuti sono circa 450 e 17 morti negli ultimi 8 anni, per un carcere di medie dimensioni, rappresentano un dato eccezionalmente grave. In altre carceri con un numero di detenuti compreso tra 400 e 500 nello stesso periodo i decessi sono stati molti di meno: Agrigento 3, Alessandria 4, Ancona Montacuto 5, Avellino 4, Busto Arsizio 5, San Gimignano 1, Trapani 1, Vibo Valentia 4, Vigevano 2. A Livorno si è registrato anche il caso particolarmente controverso di Marcello Lonzi, ritrovato cadavere in cella l'11 luglio 2003 (il corpo coperto di lividi), che è stato oggetto di una lunghissima inchiesta giudiziaria conclusasi recentemente con l'archiviazione: morto per "aritmia maligna".Inutile aggiungere che in questo, ma come penso in qualsiasi altro carcere italiano, tranne FORSE qualche piccola eccezione, di cui in realtà non sono al corrente, in questi cosiddetti "istituti" non si mette in pratica nessun tipo di riabilitazione nei riguardi dei detenuti, che vengono lasciati alla mercé della più deplorevole vita carceraria: abusi (e non mi riferisco solamente delle guardie carcerarie, ma anche dagli stessi detenuti), ingiustizie, e la lista, purtroppo è ancora lunga. 
Quindi mi viene da pensare che se anche di suicidio si trattasse, non meravigliamoci se poi qualcuno s'ammazza, il carcere è una realtà che ti logora dentro, e senza un'adeguata e DOVUTA riabilitazione, finita la condanna sei finito anche tu...

un ringraziamento speciale a: "Repubblica" per l'articolo da cui ho preso spunto. 
Riccardo Arena di "Radio Radicale" e il programma radiofonico che conduce "Radiocarcere"
"Ristretti Orizzonti" per i dati (inquietanti) forniti sulle carceri.

lettera aperta di Patrizia Moretti Aldrovandi, Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Domenica Ferulli




Siamo quattro famiglie normali e quattro esperienze di giustizia allucinanti, processi compresi. Questa giustizia è solo per i ricchi. Questa giustizia protegge soltanto i diritti dei più forti, di coloro che hanno un potere o che hanno capacità economiche. Questa giustizia calpesta quotidianamente i diritti degli ultimi. Questa giustizia non ha nessun rispetto e considerazione per le vittime dei reati. Nessuno si interessa veramente ai problemi della giustizia e la gente capisce solo quando vi rimane stritolata. Legge bavaglio, processo lungo, processo breve, intercettazioni. Tutti falsi problemi, figli di una tanto imbarazzante quanto grande ipocrisia, dietro la quale di nasconde, e nemmeno bene, la volontà di coloro che abusano del loro potere a danno dei cittadini di farlo in silenzio, di nascosto ed impunemente. Vergogna! I processi e le cause sono ormai insostenibili per qualsiasi famiglia normale. Si muore in tribunale, si muore per la giustizia, si muore in carcere e in qualunque strada, si muore di carcere. E i problemi per i nostri politici sono le intercettazioni dei festini e delle escort. Siamo indignate, addolorate, offese e abbiamo bisogno di tornare a credere in uno Stato, che sembra ignorare noi e le esigenze di tutti i cittadini normali che hanno bisogno della giustizia. Patrizia Moretti Aldrovandi, Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Domenica Ferulli.


venerdì 28 ottobre 2011

...il caso UVA....

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...il naso rotto dalle botte, e la bruciatura di sigaretta sulla guancia.

...il corpo di giuseppe ricoperto di echimosi.
...da 3 anni Lucia Uva, sorella di Giuseppe Uva, morto nella caserma dei Carabinieri di via Saffi a Varese il 14 giugno 2008, aspetta, e PRETENDE GIUSTAMENTE di sapere la verità su suo fratello.
Era la notte del 14 giugno 2008 e, Giuseppe Uva insieme all' amico Alberto Biggiogero, vengono fermati e portati in caserma da una gazzella dei carabinieri, per schiamazzi notturni. 
In caserma i due vengono separati, Alberto rimane solo, e Giuseppe invece rimane in compagnia dei carabinieri.
Alberto notò un viavai di carabinieri e polizia e sentì le grida dell’amico, dei rumori sordi. Non lo avevano perquisito perciò aveva ancora con sé il cellulare, così chiamò il 118.

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